Il 4 gennaio scorso venni a conoscenza della proposta di istituire il cimitero dei feti, dei residui abortivi, nella mia città. Scrissi una lunga lettera aperta all’assessore all’ambiente che lo aveva chiamato la possibilità di “un atto di civiltà”.
Né scaturì un dibattito di mesi, durante i quali noi, tante donne civitavecchiesi, abbiamo studiato e imparato tutto in materia di regolamenti di polizia mortuaria, incontri con la dirigenza asl, richiesta di chiarimenti, mai ottenuti, da parte del Comune, manifestazioni e riunioni.
La nostra battaglia ha acquisito una risonanza nazionale, quando una ragazza che seguiva il nostro percorso, si chiese cosa fosse accaduto al suo feto abortito.
E a Roma, trova il primo di tanti prati pieni di croci.
Da lì, dalla violazione della privacy costituita da quelle croci con il nome delle donne che avevano deciso di abortire, si è aperto il coperchio sopra questa vicenda.
Una pagina Facebook, che fa rete per individuare luoghi in Italia in cui, per la presenza massiccia di obiettori, è praticamente impossibile abortire, decide di fare una inchiesta, di mappare questi cimiteri dei feti, in tutta Italia. Lasciano, nonostante la nostra vittoria, mappata anche Civitavecchia, per far sapere che anche qui ci avevano provato, ma hanno trovato la ferma opposizione delle donne che si sono autorganizzate.
La nostra storia rimbalza in Gran Bretagna e in Belgio.
Abbiamo vinto, perché hanno trovato noi.
Generazioni di donne che hanno portato avanti questa lotta, anche quando ci dicevano che eravamo chiassose, inopportune, malfidate. Ma l’offesa che io respingo totalmente è quella di non essere empatica e solidale con tutte le donne, anche quelle che scelgono di inumare.
Come se portassimo avanti l’apologia dell’aborto. E invece sta qui la differenza con la pratica del femminismo, del partire da sè, da creare quel nesso che da sempre esiste fra le leggi, il corpo delle donne e la necessità di normarlo. Eccola la differenza, tra chi si mette sopra uno scranno e pontifica, che ci dice che manteniamo una “condotta oppositiva e provocatoria”. Che siamo “abortiste”.
Noi siamo generazioni di donne che lottano da anni per la rivendicazione dei diritti delle donne. L’aborto fa parte della vita delle donne da millenni, la legge 194/78 le ha tolte dall’illegalità, dalla sofferenza gratuita. Le donne hanno tutto il diritto di seppellire i resti dei loro aborti. Come prevede la legge, in privato senza la speculazione di nessuno. Noi conosciamo la sorellanza, il tenersi per mano, il sostenersi, lo conoscevamo sopra i tavoli abusivi, dove si moriva, si moriva di ago duro, lo conosciamo negli ospedali, conosciamo il sostegno durante gli aborti, durante i parti.
Noi conosciamo i cerchi della sorellanza, noi conosciamo le segretezze, gli abusi.
Noi abbiamo il pregio di conoscere e non giudicare le scelte delle donne sui loro corpi.
illustrazione di Angel Boligan
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