Nel 1985 frequentavo l’asilo e mia madre decise di mascherarmi da Pierrot.
Una maschera bellissima, bianca, con il collare, i pon pon, il turbante in testa, la faccia dipinta di bianco e la famosa lacrima.
Da qui in poi le notizie si fanno confuse, perché io di quel giorno ricordo solo che rimasi, ore, chiusa in un armadietto di legno per i cappotti dei bambini, in canottiera, mutandine e calze di filanca bianche.
Capelli neri, a caschetto, frangetta para sugli occhi e sguardo imbronciato.
All’uscita, una suora contrita, mal celando un certo rammarico, consegnó a mia madre una busta di plastica con quel che rimaneva della maschera.
L’avevo ridotta a brandelli.
A me i complimenti fanno ancora questo effetto, mi chiuderei nell’armadio con la fronte sudata e la frangetta sporca di bianco appiccicata sulla fronte.
Ma adesso ho imparato a dare la giusta importanza al pensiero degli altri, peso con entrambi le mani le critiche, ai complimenti, per lo più, resto impassibile, ed esco dall’armadio perché davanti ho un cammino e un progetto, tiro avanti e guardo avanti.
La frangetta non la porto più. Ma dovrei.
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